Animazioni video, dipinti, realtà virtuale e opere basate sulla realtà aumentata. Questo e molto altro nell'arte di Federico Solmi, artista nato in Italia ma residente a New York da più di 20 anni, che nelle sue opere usa videogiochi, animazioni digitali, realtà aumentata e virtuale e combina questi elementi con i propri disegni e dipinti, creando ritratti satirici di leader politici, sovrani coloniali o addirittura navigatori conciati nelle maniere più stravaganti, con espressioni inquietanti ed una vera e propria esplosione di colore. Le sue opere sono una sorta di sfilata imperiale e pomposa, la rappresentazione artificiosa, studiata e teatrale di eventi storici e di attualità politica e sociale. Da esse è possibile evincere il messaggio che l'artista vuole comunicare, di una contemporaneità malata e di un presente, soprattutto a livello politico e istituzionale, distopico. Il suo lavoro è influenzato dalla realtà in cui vive, quella della metropoli. Grazie ad una città come New York, fonte d'ispirazione dell'artista con le diverse culture e i suoi milioni di abitanti, l'arte di Solmi diventa un misto di spettacolo e arte, lo specchio di una società degenerata e piena di disfunzioni, soggetta a continui stimoli, finti miti e cambiamenti di mode, che però hanno secondo me un effetto positivo. Federico Solmi è nato nel 1973 a Bologna. Artista multidisciplinare, nel 2009 ha vinto il premio istituito dalla Guggenheim Foundation di New York nella categoria Video & Audio. Ha inoltre partecipato a numerose biennali internazionali, tra le quali Open Spaces: A Kansas City Arts Experience (2018), Media Art Biennale di Pechino (2016), Biennale dell'arte cinetica di Francoforte (dove ha esposto un'opera monumentale) e tante altre, senza dimenticare la sua partecipazione alla Biennale di Venezia del 2011. Dal 2016 al 2019 ha insegnato presso la prestigiosa università di Yale. Francesco Pozzi
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In occasione dell’annuale ricorrenza delle Giornate FAI d’Autunno, alcuni luoghi e beni del FAI sono stati aperti e hanno ospitato le visite e gli eventi organizzati dalla Fondazione. Queste giornate 2020 sono state di particolare rilevanza per due motivi in particolare: innanzitutto, si è celebrata la figura di Giulia Maria Crespi, fondatrice del Fondo Ambiente Italiano venuta a mancare da pochi mesi. In secondo luogo, la crisi sanitaria ha costretto la Fondazione a dividere le giornate in due weekend, con il secondo che, come le giornate di primavera, è stato poi annullato (e speriamo ci sarà modo di recuperarlo). Il 18 ottobre, ho avuto modo, in qualità di volontario, di vedere più da vicino la realtà di uno dei luoghi più suggestivi di Milano, i Frigoriferi Milanesi, di cui si tratterà facendo riferimento all’evoluzione storica del complesso formato insieme al Palazzo del Ghiaccio e a tutta l’area circostante. UNA BREVE STORIA I frigoriferi milanesi si trovano in Via Piranesi, in una struttura che venne edificata a fine ‘800 e che ospitava un enorme magazzino del ghiaccio. Il secondo corpo del complesso industriale è proprio il palazzo del ghiaccio, edificio in stile Liberty che, dal 1923 (anno della realizzazione) ha ospitato la più importante pista di ghiaccio coperta d’Europa. Venne infatti pensata dal campione nazionale di pattinaggio dell’epoca, il Conte Alberto Bonacossa. Nella sua storia, ha ospitato alcune tra le maggiori manifestazioni sportive su ghiaccio, tra cui persino i mondiali di hockey e di pattinaggio. Oggi il palazzo non ospita gare agonistiche, sua funzione primaria, ma è stato ripensato come spazio per eventi, spettacoli, concerti, sfilate, mostre, convegni, fiere e meeting aziendali. Tornando ai Frigoriferi, il ruolo principale di essi è stato, fino al 2013, quello di conservare le derrate alimentari di Milano e di produrre ghiaccio. Ovviamente, la collocazione degli stessi non fu casuale: la zona di Porta Vittoria era, infatti, una delle principali aree industriali della città, dove abitavano i cittadini impiegati nelle attività economiche e produttive volte al sostentamento della città stessa. Il 2016, in seguito alla fondazione della società Open Care (2013), rappresenta un punto di svolta per i Frigoriferi, che diventano un importante polo dedicato all’arte contemporanea, con la nascita, per l’appunto, di FM Centro per l’Arte Contemporanea, che oggi ospita visite, mostre, eventi culturali, tour all’interno delle sale e dei laboratori, oltre a dedicarsi al collezionismo e all’art consulting, tramite gallerie, archivi d’artista e spazi dedicati agli operatori del settore. MULTIDISCIPLINARIETÀ E PECULIARITÀ DELLE SINGOLE AREE I frigoriferi si caratterizzano per la presenza di una grande vastità di spazi, ognuno dedicato a diversi aspetti che riguardano l’arte ma non solo. Per citare uno di quelli più suggestivi, il Caveau, dove vengono depositate diverse tipologie di beni artistici, di lusso e tanto altro, è dotato di un parcheggio interno e di varie sale visione riservate ai clienti. Tutta quest’area nascosta è protetta da sofisticate tecnologie ed è collegata a centrali di supervisione attive giorno e notte. Il cliente è supportato per ogni esigenza da uno staff specializzato nella gestione e movimentazione di collezioni di valore. Questa concezione di deposito visitabile consente al pubblico di percorrere le aree interne (il deposito era infatti una delle prime tappe nell’ambito della visita guidata con i Narratori del FAI) e permette a chi lavora nel complesso di operare a stretto contatto con professionalità diverse, da chi si occupa di attività di valorizzazione delle collezioni pubbliche e private, chi di archivi d’artista, chi ancora di consulting e così via. All’interno dello spazio si trova poi una grande area espositiva dedicata alle collezioni italiane e internazionali, oltre ad uno spazio temporaneo nel quale le gallerie d'arte contemporanea possono esporre i loro ultimi pezzi. Ma una parte del percorso che mi ha colpito particolarmente è stata quella relativa alla visita dei vari laboratori di restauro. Per la prima volta ho avuto modo di ammirare dall’interno laboratori specializzati nel restauro di dipinti e di opere polimateriche, così come altri dedicati ad arredi lignei, ad arazzi, tappeti, ad antichi strumenti scientifici (orologi, strumenti di misurazione), con le spiegazioni di restauratori specializzati che hanno mostrato le varie tecniche di ricostruzione, colorazione e aggiustamento dei materiali. Un’esperienza senz’altro da provare. UN LUOGO DI CULTURA, ANCHE AZIENDALE Grazie al lavoro della società Open Care - Servizi per l’arte, prima realtà europea a integrare tutte le attività funzionali alla gestione delle collezioni, lo spazio dei frigoriferi è, ad oggi, un esempio di come le attività collegate all’arte possano essere svolte in maniera sinergica e coerente, dalla logistica al restauro, alla consulenza, perizie, archiviazione e compravendita di opere d’arte, fino all’advisory con riferimento agli andamenti del mercato dell’arte. Il centro culturale dispone poi di un servizio di ristorazione e bar, a dimostrazione della grande varietà di attività svolte all’interno di esso, oltre ad ospitare associazioni culturali, studi professionali, imprese e spazi dedicati a studenti e artisti. Grazie a questi aspetti, i frigoriferi sono, ormai, una realtà di massima importanza nell’ambito dell’arte contemporanea italiana, oltre che un fulgido esempio della possibile e necessaria integrazione tra cultura umanistica ed aziendale, come passo verso una innovativa concezione della conservazione, valorizzazione e promozione dell’arte contemporanea. Come bonus, va menzionato uno spazio visibile dall’esterno e dedicato alle start-up innovative. “Startupitalia”, dedicato ai giovani imprenditori, oltre ad essere un luogo è una piattaforma digitale, che unisce fondatori, economisti, studenti e aziende per mettere in contatto gli aspiranti imprenditori dell’ecosistema con un network di investitori e acceleratori. Lo spazio è quindi un hub digitale con dati di startup e aziende innovative, uno spazio dove le imprese possono contaminarsi e realizzare progetti di “open innovation”. Francesco Pozzi Fonti: Foto: https://modulo.net/it/realizzazioni/frigoriferi-milanesi Dal primo agosto è aperta al pubblico la mostra che racconta una parte della storia della street art, in una suggestiva location come quella della sala d’ingresso del Teatro degli Arcimboldi di Milano. Il Foyer, adibito a sala espositiva, ospita un percorso che parte da una breve rassegna su alcune opere contemporanee. Nella prima parte della mostra, è addirittura esposta la porta di un garage con un graffito, a simboleggiare sin da subito l’appartenenza di questa tipologia di espressione artistica alla strada e ai componenti del contesto urbano. Sempre all’inizio del percorso, vi sono disposte opere dal colorito acceso, che immergono il visitatore in uno spazio accogliente, la cui atmosfera disincantata rende benissimo l’idea dell’esposizione: non ci si trova in un mero spazio museale, piuttosto si è inseriti in uno scorcio di strada che porta chi la percorre alla scoperta di un itinerario fantastico. Un filone fondamentale che viene analizzato nella mostra è rappresentato da una serie di dischi di importanti band, disegnati da street artists per amici musicisti. Non si possono non citare i Massive Attack, gruppo musicale britannico che gioca un ruolo importante nel corso della narrazione delle opere, soprattutto per quanto riguarda la presunta rivelazione dell’identità di Banksy. Ma a questo ci si arriva successivamente. Proseguendo verso la vera introduzione alla street art, è possibile ammirare un’opera di Jean-Micheal Basquiat, uno dei più grandi (se non il più grande) esponenti della storia dell’arte di strada, colui che ha aperto al graffitismo la porta delle più grandi gallerie d’America e del mondo. Insieme a Keith Haring, l’artista americano ha dato vita a New York ad una delle tendenze più rivoluzionarie della storia, che ha portato alla realizzazione di opere iconiche, oggi esposte nei più importanti musei e spazi espositivi. BLU (& ERICAILCANE) Ricca di documentazione e con spiegazioni impeccabili da parte dei curatori in riferimento alla storia dell’arte di strada, dai primi graffiti di artisti sconosciuti ai progetti più moderni di figure misteriose che oggi dominano il mercato di gallerie e case d’aste, la mostra arriva ad un punto di svolta proprio superato un iconico “Rat” di Banksy disegnato su un indicatore stradale. Alla destra di quest’ultimo, infatti, giganteggia un enorme murales di BLU, il più rinomato street artist italiano, in collaborazione con Ericailcane (con il quale ha lavorato ad altri progetti, tra cui il controverso lavoro al PAC di Milano). L’opera in questione raffigura un enorme maiale ed è divisa in due sezioni: in quella a sinistra il soggetto è antropomorfo, mentre a destra vi è la rappresentazione di un maiale; l’opera è caratterizzata dalla numerazione tipica dei tagli del suino, che indicano le diverse componenti commestibili dell’animale. Come verrà spiegato successivamente in un articolo di Artribune copiato a caratteri cubitali sulla parete, BLU è un artista lontano dalle logiche del mercato, nomade e con una visione molto pessimistica rispetto alla società consumistica e capitalista; nelle sue opere infatti l’uomo è spesso rappresentato come schiavo di ciò che gli capita intorno, tra lavoro alienante e guerra, muovendosi inerme tra la distruzione e con la minaccia di un futuro privo di senso. FINALMENTE BANKSY A differenza del collega italiano, il più misterioso ed affascinante artista di strada del mondo è completamente inserito in quelli che sono i meccanismi del mercato dell’arte, dalle gallerie alle case d’asta passando per i circuiti social, sui quali è una star affermata. Su Instagram conta la bellezza di 10,4 milioni di followers ed è qui che pubblica le foto dei lavori che realizza in giro per il mondo, dando ad essi un’aria di mistero con didascalie quasi fuori contesto. Ed ecco subito i celebri Topi che invadono le opere dell’artista, dai cartelli stradali ad altri spazi cittadini, dopo aver invaso le metropolitane e i muri di tutto il mondo. Molto significativa la scimmia disegnata su un cartello stradale di pericolo con una sorta di targa appesa al collo che recita “Keep it real”, rimandando all’ipocrisia intorno agli animali da circo che vengono sfruttati e mostrati come se si divertissero, metafora dell’uomo contemporaneo che recita una parte all’interno delle relazioni sociali. Non mancano i soliti riferimenti scandalosi alla religione, con Maria che tiene in mano un veleno per il Figlio, e alla guerra, trattata come sempre in maniera sarcastica tramite il capovolgimento simbolico delle immagini; quest’ultimo aspetto è rintracciabile in “Pulp Fiction”, in cui i due famosi protagonisti dell’iconico film di Tarantino puntano banane anziché pistole, nell’opera che raffigura una bambina che abbraccia un missile, nella celebre “Throwing flowers” e in molte altre in cui armi, elicotteri e soldati sono raffigurati in maniera ironica. Alla fine del corridoio dedicato al misterioso artista della “Balloon girl” appaiono delle meravigliose opere di Serena Maisto, artista italiana che gioca con la trasparenza del plexiglass, che usa come supporto per le sue opere e che inonda di colore. Nella mostra è presente un allestimento di lavori della Maisto che formano una croce e che sono caratterizzati dal supporto che diventa parte dell’opera stessa, dando vita ad una composizione apparentemente casuale ma che segue invece una precisa narrazione. Accanto a questo crocifisso allestito, si trovano i disegni della suggestiva cover dell’album “Think Tank” dei Blur realizzata da Banksy. WHO’S BANKSY? L’ultima parte del percorso prevede un focus su 3D (Robert del Naja), il quale viene indicato come potenziale architetto dietro alla messa in scena del personaggio Banksy. Vengono infatti elencati i motivi secondo cui il writer misterioso possa in realtà essere un collettivo di Bristol, tesi supportata da 21 indizi riportati su un tabellone intitolato “Who’s Banksy?”. Compaiono quindi delle opere di 3D dallo stile molto simile a quello di Banksy. Inoltre, viene specificato come molti murales dell’artista britannico erano comparsi negli stessi luoghi nei quali la band musical Massive Attack, per i quali 3D ha realizzato diverse Cover, era in tour o stava registrando. Tra le 21 tesi riportate è interessante quella rispetto al legame degli artisti con la musica, in particolare il fatto che Banksy utilizzi spesso e volentieri la musica del gruppo citato in precedenza. La mostra si conclude con altre opere di 3D e con un angolo della parete sul quale è riportata l’immagine comparsa a Venezia nel maggio del 2019, successivamente attribuita a Banksy, nel periodo della Biennale. Il Teatro degli Arcimboldi ha dato vita ad uno spettacolo imperdibile, un percorso che si snoda nei temi e nei periodi storici di riferimento dell’arte di strada e che ci porta alla scoperta di un’arte non solo misteriosa, ma sicuramente rivoluzionaria per stili, media artistici e concetti espressi. La mostra resterà aperta fino al 13 dicembre, sperando che non ci saranno eventuali restrizioni anche per i musei. Francesco Pozzi |
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